domenica 9 febbraio 2014

Andrè

Me lo sono ritrovato davanti quasi senza accorgermene ed è stato come se il mio cuore, morto, rinsecchito ed immobile da secoli, venisse infuso di nuova linfa vitale e per un attimo, solo un attimo, emettesse un unico, potente e devastante battito.

Ho avuto paura potesse accorgersene.
Ho temuto potesse essere vero.
Chiaramente, poi mi sono resa conto che era assurdo.

Eccolo lì, comodamente adagiato sul mio divano di tessuto colo vinaccia, tutto nero e bianco, un contrasto perfetto,  (narcisista lo è sempre stato e sono sicurissima che la scelta di dove appoggiarsi non sia stata casuale) una gioia sublime per gli occhi (odio il risveglio ormonale che segue sempre alle sue apparizioni) ed un calcio di quelli belli forti alla mia serenità mentale.

Sono stata avvisata dalla mia governante del suo arrivo, un paio d'ore dopo il tramonto quando me ne stavo, gioiosamente e beatamente, a mollo nella mia vasca da bagno fra le bollicine dell'idromassaggio, il profumo di vaniglia del mio olio da bagno e la luce delle candele lungo tutto il bordo vasca, la mia versione della beatitudine domestica, insomma.
La prima reazione è stata un'odiosa, davvero odiosa, gioia smodata. La giovane e stupida ragazzina in me ha fatto le capriole, la ola, le capriole e persino uno stupidissimo balletto della felicità. Per fortuna, e a difesa della mia dignità, posso dire che è stata soppiantata, ben presto, dalla rabbia. Poi, con calma, sono arrivate l'ansia, la paura, l'aggressività, il rimpianto, eccetera eccetera, il tutto nel giro di un minuto.
Mi sono concessa altri due minuti per uscire dalla vasca, asciugarmi alla bene meglio ed avvolgermi in una vestaglia rossa (avrei voluto la seta ma, ancora umidina, sarebbe stato un disastro, quindi ho optato per il velluto) Ho sciolto i capelli, riattivato la circolazione per acquistare un colorito roseo e sono andata ad affrontarlo.

Ed eccolo lì, Andrè, il mio dolce paparino.

Si, odia lo chiami paparino, tecnicamente è il mio sire, colui che mi ha resa vampira. Sorvolerei sul fatto che è stato anche il mio primo, grande e devastante amore.

Andrè, ora vuole farsi chiamare così, mi osserva lentamente, squadrandomi da capo a piedi e viceversa, con inesorabile lentezza.
Quello sguardo, un tempo, mi avrebbe terrorizzata, gettata nella confusione più profonda e inchiodata al pavimento.
Una volta, quando era tutto il mio universo... una volta, appunto.
Mi lascio ammirare, limitandomi a lanciarci una rapida occhiata di controllo generale, ed eccolo lì, bello da far male: alto, fisico equilibrato formato da fasci di muscoli definiti ma non ingombranti, capelli neri, leggermente ondulati, occhi neri come l'onice, grandi, un po' a mandorla. Ed eccolo lì, il naso dritto e perfetto, la bocca carnosa che mi provoca sempre pensieri molto poco casti... Andrè, semplicemente, con tutto il carico di devastazione della mia esistenza che si porta dietro.

Inspiro a fondo, come se ancora potessi farlo davvero, e sfodero il mio miglior sorriso da venditrice. Ondeggio lentamente verso di lui, passo studiatamente lento, studiatamente sexy, inchiodando gli occhi nei suoi. Quando arrivo abbastanza vicino, mi piego sulle ginocchia, lasciando che la vestaglia mi si apra intorno come una macchia di sangue (nulla è casuale!), mi scosto i capelli e gli offro il collo perchè è così che si fa, con il proprio sire, anche se lo odi: ti sottometti e gli fai capire che sai benissimo che tu esisti grazie a lui e continui a farlo perchè lui te lo concede. E' così, e basta.

Il bastardo sorride, compiaciuto, e si avvicina, lentamente, permettendomi di inebriarmi nel suo profumo, caldo, mascolino ed avvolgente come una coperta, di pregustare quel che sta per accadere (è sempre la ragazzina romantica quella che predomina in questi momenti di crisi ormonale, la detesto, davvero!) fino a quando, leggero come un alito di vento, mi posa le labbra sul collo, sulla pelle sopra la carotide, in un bacio delicato che manda in tilt tutte le mie terminazioni nervose.
Non posso farci nulla, è più forte di me e della mia ragione: lui mi fa questo effetto, sempre, e continua a farmelo nonostante tutto il nostro passato.

Ho domandato ad alcune amiche, per capire se anche per loro il contatto con il loro sire fosse così "intimo" ma no, a quanto pare non è a causa del legame che il mio corpo grida "prendimi, sono tua", ogni volta che mi sfiora.
Stupida Lussien, stupida, stupida, stupida.
E debole.
Non è necessario, comunque, che lui lo sappia.

Mantengo il mio contegno (o almeno spero di averlo mantenuto) e lo lascio fare, non posso davvero fare altrimenti. Lui, manco a dirlo, indugia più del necessario, per il semplice piacere di torturarmi, suppongo e, quando infine interrompe il contatto fra le sue labbra ed il mio collo, il sollievo arriva insieme ad una forte fitta di delusione.
Lui si risiede, io mi rialzo e mi ricompongo prima di, finalmente, tirar fuori la voce.

"Andrè, la tua visita mi onora e mi riempie di gioia"
attacco col mio miglior sorriso... temo sia un po' tirato però.
"Cosa ti porta da me dopo... quanti sono, sessant'anni?"
Brutto bastardo maledetto, penso fra me e me.
Lui mi guarda, sorride, allunga la mano verso la mia e, senza che mi accorga esattamente come sia successo, mi ritrovo avvinghiata a lui ad essere felice di non dover respirare.
Ci baciamo come se volessimo succhiarci l'anima a vicenda, ci tocchiamo, ci stringiamo, la mia vestaglia di velluto sparisce ad una velocità imbarazzante e... si, ok, ci accoppiamo selvaggiamente sul divano senza che lui abbia detto una sola parola.
E' dannatamente imbarazzante.
Magnifico, ma imbarazzante.
Nemmeno un animale cede così agli istinti e poi io lo detesto... mmm.... quel giochino con la lingua è davvero sleale... oddei tutti, di nuovo....

Finisce che lo devo ospitare nel mio letto perchè l'alba è alle porte e ancora non ho sentito la sua voce. Continuiamo a baciarci e a fare l'amore come due disperati ed io non posso fare a meno di aggrapparmi alla diffidenza per non lasciarmi trascinare via, completamente, dalla passione, dal desiderio e... oh diamine, dall'amore.

Mi dà tregua solo quando, finalmente, si addormenta, e anch'io sento il peso dell'alba incombere come un macigno.
Domani notte dobbiamo parlare, assolutamente, dovrei avere una cintura di castità da qualche parte e... oh, eccola, l'alba è arrivata.

Muoio.